Pagina:Cuoco, Vincenzo – Platone in Italia, Vol. I, 1928 – BEIC 1793340.djvu/168

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uomini che Aristodemo e seimila satelliti, ch’egli avea condotti a soldo da diverse regioni dell’Italia; gente stolidamente feroce, senza cura né di bene né di male, ed alimentata perché fosse istrumento e difesa della scelleratezza. Ma questi potevano ben difendere Aristodemo dalla vendetta de’cumani: chi difendeva però Cuma dalle offese degli stranieri? I nostri di Capua le mossero guerra. Aristodemo fondava le sue speranze negli alleati, e sopratutto in Tarquinio, che allora regnava in Roma. Tarquinio perdette il trono: Aristodemo fu vinto ed ucciso. Per qualche anno si ristabilí in Cuma l’apparenza degli antichi ordini. Dico «l’apparenza», perché i costumi, da’ quali nascono gli ordini, non vi cran piú: Cuma fini coll’esser preda de’ capuani (*). Tenete sempre presente, o giovani, alla vostra mente questo esempio, e domandate a voi stessi: — Chi spinse gli ottimati di Cuma all’insolenza, all’orgoglio, all’oppressione de’loro concittadini? — ’La voluttá. — Chi li rese imbecilli e vili, a segno da non poter resistere all’usurpatore, da non potersi neanche vendicare? chi stabili in Cuma la tirannide? — La voluttá. — E chi rovesciò Cuma e questa tirannide istessa? — La voluttá. — Il tiranno la credeva conducente ai suoi disegni, sol perché gli dava l’apparente sicurezza del momento; ma egli rassomigliava quell’uomo, il quale crede di prolungare la sua vita, mentre scava il fosso nel quale deve esser seppellito. La pubblica lussuria è funesta alle cittá ed ai re, e punisce egualmente, piú crudele delle armi, e coloro che hanno usurpata la libertá, e coloro che non han saputo difenderla. — Dunque, o Ponzio, qual credi tu che sia la virtú? — Nient’altro che temperanza ed amor del lavoro. — E queste cose — soggiunse Platone — sono verissime. — E, ciò detto, ci levammo. (1) Diodoko sicolo; Strabone, V; Livio, IV. ecc. ecc.