Pagina:Cuoco, Vincenzo – Platone in Italia, Vol. I, 1928 – BEIC 1793340.djvu/195

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Insensati che siamo! Parliamo di tormenti? E potranno questi farmi nulla di peggio che farmi morir piú presto? Parliamo di opprobrio? Sono ormai quaranta anni dacché non studio altro che di regolar le mie opinioni indipendentemente dal volgo. E, dopo quaranta anni, voi mi direste: — Filolao, tu che sei stato in tutta la vita disprezzator de’ rumori della plebe, e contro cui essa non ha avuto mai il coraggio di muovere un’accusa, cangia oggi costume, e dá’ al volgo la prima occasione di disprezzarti, mostrandogli che la tua virtú è tale, che non sa resistere alla sua opinione! — Credete voi, miei amici, che mi sarebbe stato difficile guadagnar gli animi di questa mobile turba? Voi la vedete oggi tutta furente contro di me: non sono venti giorni e pendeva tutta dal mio cenno. Se avessi condisceso alle loro brame insensate, sarei ancora l’arbitro di Eraclea. Ma io non ho saputo comprare il favore del popolo col sacrificio della mia virtú; e voi tutti mi avete applaudito, perché credevate che una legge eterna mi obbligasse alla virtú. Ebbene, amici, la stessa legge mi obbliga a conservar la vita. Non è la volontá di un pretore o di un concilio o di una sola cittá: è la legge della cittá degl’iddíi, dell’universo. Quella vita, che abbiamo, non è giá un dono di cui ci sia permesso far quell’uso che vogliamo. Prima di esser cittadino di Crotone o di Eraclea, io era nato cittadino dell’universo. Prima che gli eracleesi mi avessero eletto loro eforo, gl’iddii giá mi avean assegnato un altro posto nella loro cittá, e, dandomi la vita, mi avean detto: — Ecco il tuo posto, Filolao. Rimantici come un ben disciplinato soldato, finché il tuo superiore ti richiami. — Che dirò io a questo mio superiore, quando, avendo abbandonato senza suo ordine il posto, mi troverò al suo cospetto? Mi par giá di udirlo dimandarmi: — Perché non sei rimasto ancora, o Filolao? — Ho temuta la morte. — Non ti ci avea io stesso destinato? Essa veniva senza l’opera tua: era essa il segno del richiamo che io ti dava.