Pagina:Cuoco, Vincenzo – Platone in Italia, Vol. I, 1928 – BEIC 1793340.djvu/206

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le menti dall’autoritá di tale sentenza, giá annoverano tra le sciagure ciò che è il piú dolce premio che possa ricevere un buon padre: il vedere intorno alla sua mensa una numerosa figliolanza, che lo circondi come i verdi rampolli circondano un fruttifero olivo. Si ascrive a ventura l’aver pochi figli, perché in tal modo saranno piú ricchi. In una cittá corrotta il padre non ha altro bene da lasciare ai figli suoi che la ricchezza; e, siccome non sono sempre in poter suo i modi di accrescer questa, cosí rivolge tutte le sue cure a diminuir quelli... E ciò chiamasi aver cura dello «splendore» della propria famiglia, del «decoro» del proprio nome, in una cittá corrotta, in cui gli abitanti non sanno trasmettere col nome ai propri figli veruna virtú (»). (i) Se quest’opera non fosse, come è, un manuscritto antichissimo, quasi dubiterei che questo tratto sia stato scritto dopo l’invenzione de’ nostri fedecomraessi e dei nostri maioraschi.