Pagina:Cuoco, Vincenzo – Platone in Italia, Vol. I, 1928 – BEIC 1793340.djvu/228

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obbliarono la prima, che era quella di conservarla; e tutte le altre sparirono. Essi aveano discacciati tutti quegli artefici, il mestiere de’ quali potesse col rumore turbare il sonno de’cittadini (O. Finanche i galli, come importuni, erano stati, coi fabri, rilegati nelle lontane campagne. Credete voi che quegli uomini avessero potuto udir la veritá, la di cui voce, nelle concioni, turba i vili piú che non turba i poltroni, nel loro letto, il grido del gallo? Il loro Smirindide non potè una notte chiuder gli occhi, perché una foglia di rosa erasi ripiegata sotto al suo fianco. Un altro svenne al solo vedere gli uomini che lavoravano le sue terre. In Sibari era raro quell’uomo che avesse visto spuntare il sole; e, siccome la corruzione de’costumi corrompe tutte le arti, anche le piú sante, cosí i medici avean quasi sancita colla loro sentenza tanta pigrizia, dicendo che l’aria umida e pesante della valle, in cui stava la cittá, era, nelle prime ore della mattina, nemica alla salute (2). Non conoscevano, dunque, i sibariti mali piú gravi di quelli die l’uomo può, se vuole, vincer coll’uso? Un sibarita andò in Sparta, e, vedendo la vita durissima che gli spartani vivevano, disse: — Ora non mi meraviglio piú che gli spartani disprezzino tanto la morte: essi non possono amar molto la loro vita (3). — Ma Sparta vive ancora, e Sibari non è piú. — Gl’iddii — dicevano i sibariti — ci han promesso che la nostra felicitá durerá finché non avverrá che un uomo sia preferito ad un dio. Questo non avverrá mai, e la nostra felicitá sará eterna. — Cosí dice sempre lo stolto, il quale mentre è pieno di debolezze, confida potersi tener sempre lontano da que’ delitti, ai quali solo pare minacciata una pena. Ma il soverchio amore (1) Ateneo, ibidem. (2) Idem, ibidem. (3) Idem, ibidem.