Pagina:Cuoco, Vincenzo – Platone in Italia, Vol. I, 1928 – BEIC 1793340.djvu/233

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— Le sventure vengon dagl’iddii, che voglion talora con esse provare gli uomini e le cittá; ma la disperazione vien sempre dai nostri cattivi consigli. Voi oggi siete disperati, perché avete perduta una battaglia. Non son dieci giorni, ed eravate superbi per quelle che avevate vinte. Ma, se voi foste savi, vedreste che né ora avete ragion di disperare, né allora ne avevate d’insuperbire; poiché il vostro stato d’allora non era al certo molto migliore di quello che sia lo stato di oggi. Quando voi eravate vincitori, non vi tornò dunque mai in mente che la fortuna, sempre instabile, dovea un giorno cangiarsi? E non vi fu nessuno tra voi, che v’insegnasse il modo di prevenire o di riparare i colpi che un giorno dovea darvi la fortuna? Qual gratitudine non sentireste voi per un uomo, il quale vi avesse insegnato il rimedio alle avversitá che ora vi opprimono, e l’arte e il modo di conservar i vostri beni, senza di che l’acquistarli è vano? Ebbene, crotoniati, ciò che finora nessuno vi ha detto, ciò che voi forse in tempi felici non avreste neanche ascoltato, io oggi vi dirò. Tutto il vostro male è in voi stessi. Avete vinto, ed avete vinto per fortuna; siete stati battuti, e lo siete stati per necessitá. Ove sono tra voi gli ordini militari? ove la disciplina? ove la tolleranza delle fatiche? ove il coraggio? ove l’amor della patria, che solo può farci disprezzare la morte? ove la temperanza ne’ consigli pubblici, la quale, non permettendoci d’insolentire nella prospera fortuna, ci libera dai pericoli dell’avversa? Ecco i beni che vi dovete procurare, e sarete sempre vincitori. Veggo qui tra voi molti giovani. Voi siete la speranza della patria. Nascendo, voi avete stipulato colla medesima di darle tutto ciò che essa volesse da voi. Or sapete voi che richiede la patria dalla vostra etá? Rispetto ai vecchi, e specialmente ai genitori vostri. La virtú dell’uomo è quella di saper comandare; la virtú del cittadino è di saper comandare ed ubbidire. Ed a chi saprete ubbidir voi, se non imparerete ad ubbidire a coloro ai quali la natura ha commesso il primo imperio sopra di noi, quasi per avvezzarci col piú dolce de’ comandi alla piú necessaria e piú difficile delle virtú? Siate temperanti, e sarete