Pagina:Cuoco, Vincenzo – Platone in Italia, Vol. I, 1928 – BEIC 1793340.djvu/238

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bisogno voi stessi, e che vorreste un giorno che altri facesse a voi; quello che può accrescere la gloria e la potenza di questa vostra patria, dandovi cinquecento cittadini probi ed industriosi. Guai a quella cittá che compra la pace a prezzo della sua virtú e dell’onor suo! Che rispondereste voi ai sibariti, se i loro legati vi proponessero di comprar la pace a prezzo di oro? Ebbene, quello che richiedon oggi è il vostro onore, la vostra virtú, la vostra vita istessa, e vi minacciati la guerra se non sarete loro schiavi... Sí, loro schiavi, perché schiavi son tutti quegli uomini che non hanno piú virtú. Ma a coloro che son virtuosi gl’iddii promettono sicura vittoria. Imperciocché essi non permettono mai che taluno sia vizioso impunemente; e quei sibariti, che hanno avuto la crudeltá di privar di vita e di patria tanti loro fratelli, che hanno commessa la viltá di tingersi del sangue dei legati, non posson per certo aver questi vizi soli (al pari delle virtú, i vizi non vanno mai scompagnati); ma saranno nel tempo istesso e venali e molli ed indisciplinati; avranno a buon conto un vizio, che formerá la loro perdizione e la pena di tutti gli altri... Voi, non so se chiamarvi legati o masnadieri, voi tornate al vostro Teli e raccontategli quanto avete udito. — — Allora, dunque, e per tale cagione fu la guerra che distrusse Sibari? — Certo. L’oracolo di Pittagora si avverò; e nella guerra finanche i cavalli si trovarono ammolliti a segno, che al suono di flauto si disordinarono. —