Pagina:Cuoco, Vincenzo – Platone in Italia, Vol. I, 1928 – BEIC 1793340.djvu/244

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volta stolti, traggono dalle stesse sciagure occasioni di nuove stoltezze. Son come i giocatori, i quali, quando si veggono oppressi dalla miseria, non credono giá che il male venga dal gioco, ma bensí dalla sventura nel gioco. Il vizio è in noi, e lo riputiamo natura o bisogno: la fortuna è fuori di noi, e speriam sempre che si possa un giorno cangiare. Non si dice: — Bisogna non giocare; — ma: — Bisogna vincere giocando. — Si gioca di nuovo, e si perde sempre. — E di questi, simili al mio conduttore, smodati vilificatoli del loro tempo, che può sperarsene? — Minor bene, credo io, che dalle stesse disgrazie. Essi sono utili, lodando troppo i tempi antichi, a ritardar la corruzione de’ costumi presenti. Quando però questi son corrotti, il biasmarli troppo è lo stesso che volerli far corrompere anche di piú. Noi cresciamo andando avanti; ci conserviamo rimanendoci al nostro posto; ma non possiam riformarci tornando indietro, perché indietro non si ritorna mai. —