Pagina:Cuoco, Vincenzo – Platone in Italia, Vol. I, 1928 – BEIC 1793340.djvu/261

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Nicomaco. A te sembra meravigliosa e quasi incredibile questa tanta differenza di tempo, ed io farò cessare il tuo stupore, mostrandotela anche piú grande di quella che tu credi. Non di poche ore ho bisogno io, o Cleobolo, ma di pochi momenti. Vuoi piú? mi basta un momento solo. Basta che io abbia la prima immagine di quella donna, perché poi, dipingendola, non la farò tale quale nel primo momento mi è apparsa, ma bensí qual essa mi sembrerebbe dopo due ore di contemplazione. Ma sai tu perché ciò avvenga? Perché la mia mente è giá avvezza a seguire il corso, ad osservare il nesso delle sue idee. La prima ridesta la seconda, questa la terza, alla terza segue la quarta, e via discorrendo; e tutto questo, per forza di abitudine, si fa in me tanto rapidamente che io piú non l’awerto. Credo di vedere e non fo che immaginare. Cosí l’occhio non altra idea dá a me die quella dei colori delle cose; l’idea della forma, della soliditá, della distanza mi vien dal tatto. Ma pure, per quella forza di abitudine di cui parliamo, io, vedendo un globo, senza toccarlo, dico: — È rotondo; — distinguo un lago di acque da una superficie dura, e so dirti, senza misurarne la distanza coi passi, se un oggetto mi stia vicino o lontano ( 0. Ma questa abitudine non si acquista se non per mezzo di ripetute esercitazioni. Se uno di noi andasse nella Scizia, tra quegli uomini ai quali dicesi che ancora manchino tutte le arti della vita, e vi recasse uno de’ nostri specchi, credete pure che ne’ primi giorni quei barbari, attoniti al nuovo miracolo, prenderebbero l’immagine, che vedrebbero nello specchio, per un uomo vero e vivo. Cosí del pari la mia abitudine pittorica io la debbo in gran parte alle osservazioni di tutti coloro che mi han preceduto. La scienza e l’arte, che io ho, sono una ereditá de’ miei maggiori. Aggiungi, o Cleobolo, che, quando talora osserviamo gli oggetti die son fuori di noi, non facciamo altro che osservar noi stessi. Crediamo vedere le cose esteriori, ma in veritá (i) Ecco un’idea che a molti sembrerá strano ritrovarsi presso gli antichi. Comunemente si crede moderna e non piú antica di Locke. Ma gli antichi l’aveano. Vedi l’Appendice I.