Pagina:Cuoco, Vincenzo – Platone in Italia, Vol. I, 1928 – BEIC 1793340.djvu/28

Da Wikisource.
22 PLATONE IN ITALIA


timor delle tenere spose e delle severe genitrici di Taranto. Mnesilla recitò quel tratto tanto noto della lettera di Teano ad una sua amica afflitta dallo stesso male. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1

Ella pronunziò queste parole coll’accento della piú profonda interna persuasione. Ella fini, ed io dimandai a me stesso: — Chi pensa a questo modo qual sublime idea deve aver mai dell’amore? —

Nearco si è avveduto dello stato del mio cuore. Nearco l’ha detto a lei. To non avrei avuto il coraggio di dirlo giammai... no, giammai... Che è mai quello che io provo oggi nel mio cuore? Io ho fatto mille volte all’amore in Atene; io sono stato mille volte petulante, insolente; so non solo come si spiano le volontá, ma anche come si destano i desidèri, come si prevenga il rossore, come si trionfi della debolezza... Ed intanto io non ho avuto il coraggio di dimandare a Mnesilla come fossero accolti i miei voti!

  1. Questa è la parte del libro la piú maltrattata dal tempo. Qual sará mai la lettera di Teano di cui si parla? Ne abbiamo una tra gli Opuscoli mitologici di GALE, nella quale Teano dice alla sua amica: «Non il piacere de’ sensi, ma la probitá doversi ricercar nell’amante e nel marito; la sola virtú poter formar un nodo durevole; finir ben presto tutti gli amori meritricii, i quali non sono che errori de’ quali l’uomo ben presto si ricrede, se la moglie non avvilisce se stessa fino al segno di voler contendere con una meretrice».