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XI - CLEOBOLO A SPEUSIPPIO 51

glioso. Io posso dirti, e tu stesso lo hai osservato, che Archita e Clinia mangiari carne. Troverai, al contrario, qualche pittagorista che se ne astiene. Epicaride crede che il divieto s’intenda solamente della carne degli animali viventi, e, per non romper il divieto, egli uccide prima i cani e poi se li mangia1. Cosí il mirabile tocca ben presto l’assurdo ed il ridicolo. —

Questo mi disse Mnesilla sull’uso delle carni.

So che taluni pittagorici si astengono anche dalle fave. Narrasi di due. i quali, perseguitati dai satelliti di Dionisio, e non potendo salvarsi altrimenti che attraversando un campo di fave, amaron meglio esser trucidati che contaminarsi col contatto dell’odiato legume. Narrasi questo dello stesso Pittagora2. Gli accidenti, che si ripetono e si attribuiscono a varie persone, soglion per lo piú esser falsi: son come i motti che nessuno ha detto e che sono sempre attribuiti a mille.

Ho tentato saper la ragione di questo abbonimento, che molti, non tutti i pittagorici hanno per le fave. Vuoi tu udir ciò che finora ne ho saputo?

Uno mi ha detto che esse sono abborrite, perché rassomigliano alle porte dell’inferno.

Un altro: — Noi le reputiamo sacre, perché rassomigliano a quelle parti...

— Verissimo — ha soggiunto un egizio — a quelle parti di Osiride, che Tifone gettò nel mare e che tanto cercò la buona e sconsolata Iside; e perciò questo costume vien dalla mia patria, donde vi son venute tante altre cose. —

Un altro: — Non hai tu mai visto che le fave, bollite ed esposte per un certo numero di notti al chiaror della luna, diventan sangue? — Io no, mai. — E pure, credimi: la cosa sta come ti dico io. E Pittagora con quel sangue scriveva ciò che voleva su di uno specchio: lo poneva dirimpetto alla luna, e la sua scrittura si leggeva da tutti impressa sulla faccia del pianeta. La cosa non la sappiamo far più, ma è certa - ( 1 ) Alesside, ap. Ateneo, IV. (2)

  1. ALESSIADE, ap ATENEO, IV.
  2. BARETHELEMY; BRUKER, Histona critica philosophiae, De secta Italica.