Pagina:Cuoco, Vincenzo – Platone in Italia, Vol. II, 1924 – BEIC 1793959.djvu/109

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conoscer la bellezza esterna: non ci diedero un senso piú acuto dell’occhio, onde poter conoscer la sapienza, della quale, se veder si potesse, non vi sarebbe cosa piú bella; ma vollero che attraverso della bellezza esterna del corpo trasparisse qualche raggio della bellezza interna della mente, e perciò diedero agli uomini il sermone, onde le forme della mente si comprendono. Vano però sarebbe stato il dono della parola, se l’amore, frenando colla venerazione della bellezza l’impeto cieco e feroce de’ desidèri sensuali, non avesse resi gli uomini capaci di udirla. L’uomo irato esulta agli accenti dell’inimico vinto che implora pietá; l’avaro si rallegra ai sospiri del bisognoso, e, congratulandosi con se stesso, dice: — Io avrò minor numero di bisogni: siamo tanto piú avari. — E noi — disse l’alto consiglio degl’iddii, — noi ispireremo agli uomini una passione piú forte di quella dell’oro, di quella della vendetta, piú forte di tutte le altre che ora per soverchio impeto lo accecano, lo traviano; e di questa stessa fortissima passione useremo per ridurlo sotto le leggi della beata ragione. — Mercurio insegnò agli uomini ad esporla questa ragione; ma Amore, Amore solo insegnò, ciò ch’era piú difficile, ad udirla. I santi patti delle nozze, le dolci cure de’ figli, l’amor della stanza domestica e della quiete, onde son derivate tutte le arti alimentatrici della vita e tutte le leggi ordinatrici della cittá, nacquero allora. Nacque allora la sincera pietá verso gl’iddíi. I primi uomini li temevano sol quando tuonavano, ma né mai aveano sciolto un inno, ne arso un grano d’incenso in gratitudine de’ benefizi loro, i quali pur superano di tanto la somma de’ loro castighi. Infelici! essi ignoravano che mai fosse l’amare e Tesser amato. Tcmevan gli iddíi come signori e potenti, ma non sapevano ancora invocarli come amici e padri. Questi nomi non si udivano ancora sui loro labbri feroci, perché i dolci affetti, ch’essi esprimono, ancora tacevano ne’ loro cuori. Tutto, insomma, ciò che bea ed adorna la vita, tutto è dono vostro, o sapientissimo Mercurio, o potentissimo Amore. Il mondo giá esisteva, ma era il mondo della materia e della necessitá: vostra mercé, santi numi, nacque il mondo della niente e della virtú.