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xxxvii - filosofia italiana e greca 5

quadrato dell’ipotenusa, ed era andato fino in Egitto ad imparar la geometria, quasi che prima della cognizione dell’ipotenusa vi fosse in geometria altro da imparare; e, giunto in Egitto, avea ripieni di sorpresa i suoi maestri, insegnando loro a misurar l’altezza delle piramidi dalle ombre, cosa che anche i discepoli sanno fare... Tanto le nostre idee geometriche eran puerili, frivole, contradittorie!

E fin qui tutto va bene. Gl’italiani, potenti per un istrumento di filosofia tanto efficace, han fatto delle scoperte ammirabili in tutte quelle parti delle nostre cognizioni che versano sulla quantitá: nella geometria, nella astronomia, nella meccanica, nella musica; ed hanno spinte al punto piú sublime e piú lontano dai sensi tutte quelle altre che versan sulla qualitá. Separando sempre ciò che è da ciò che appare, han dovuto dire finalmente che tutto pel nostro intelletto era uno. Ecco la dottrina di Parmenide. Da lui però s’incomincia di nuovo a discendere verso i sensi. Ciò, che Parmenide avea detto esser intellettualmente uno, Melisso volle sostener esser anche fisicamente tale1. In veritá i sensi rimanevano, nella dottrina di Parmenide, troppo inoperosi. Messi una volta in azione, eccoli, simili al riccio di Esopo, voler tutta per loro, discacciandone l’antico signore, quella casa ove quasi a stento erano stati accolti. Alcmeone, figlio di Pirito di Crotone, il primo che abbia scritto di cose fisiche2, credette che una sola cosa non bastasse a produrre tutti quanti i fenomeni che il mondo sensibile ci presenta: dunque ne volle molte3. Per buona sorte Alcmeone era saggio, ed inviando i suoi scritti sulla natura delle cose a Brontino, Leone e Badilo, scriveva loro: «Non vi ingannate: scrivendo di cose invisibili ed eterne, io non vi offro che congetture: la scienza l’hanno gli iddii soli»4. Ma, rotto una volta il freno, si corse rapidamente tutta la via delle

  1. Aristotele, Metaphysica.
  2. Laërtius, in Alcmeone.
  3. Idem, ibidem.
  4. Idem, ibidem.