Pagina:Cuoco, Vincenzo – Platone in Italia, Vol. II, 1924 – BEIC 1793959.djvu/123

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rato, tu credine ciò che vuoi. Io trovo egualmente inverosimile ed il racconto del toro e quello del capitan Tauro. Ma l’altra etimologia del nome di Boiano rammenta un avvenimento tanto antico, che non è maraviglia se il popolo ne abbia perduta la memoria. Le vestigia delle antiche fiamme non si riconoscon piú. Pare che Vulcano abbia ceduta questa regione a Nettuno. Non vedi che acque, le quali scaturiscono da infinite sorgenti e scorrono in piccioli ruscelli, finché, aU’estremitá orientale della vasta pianura nella quale è situata la cittá, si riuniscono e formano il Tiferno. È vero che colui il quale osserva l’immenso monte, che si addossa alla cittá, vi riconosce uno di que’ grandissimi monti, distesi da per tutto, quasi vertebre principali della gran mole terrestre, antichi quanto la medesima, e destinati per tutto ad essere le officine delle grandi operazioni della natura. Chi guarda il Matese e la valle, nella quale giace Boiano, gli par di vedere Pelio, Olimpo, Ossa e le valli della Tessaglia, non meno illustri presso di noi per antiche grandissime commozioni della natura, che il popolo piú non rammenta ed attribuisce ai giganti. Qui l’ignoranza delle vere cose antiche ha fatta immaginar la favola del toro. La natura è sempre la stessa; e gli uomini colle infinitamente diverse loro favole non fanno altro che abbigliar diversamente la sempre istessa natura.