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lxiii - pregiudizi e spirito pubblico de’ romani 129

-vinetto ed i miei genitori mi condussero sul Campidoglio, ove si era riunito tutto ciò che formava Roma, e dove i piú coraggiosi de’ romani avean risoluto di difenderla o di perir con lei. Ho ancora presenti alla mente e le misere donne, e le sacre vestali, ed i sacerdoti, e la maggior parte del popolo, che abbandonavan piangendo i tetti ove eran nati, le contrade nelle quali eran vissuti, e correvano ad implorare un asilo dalla pietá di quelle stesse cittá vicine, alle quali, pochi mesi prima, o avean dettate leggi o prestato soccorso. L’incendio intanto, che i Galli aveano acceso in tutt’i nostri campi, splendeva all’occidente, ed illuminava di un lume funebre tutto l’orrore di quella notte. I piú vecchi tra i senatori, vestiti delle loro trabee, si assisero sui vestiboli delle proprie case, fermi di morirvi colla patria; e, quando i Galli entrarono, non li distinsero dalle statue, che ornavano i peristili, se non pel sangue che scorse dalle ferite. Quei che eran rinchiusi nel Campidoglio fecero per molti giorni la piú vigorosa difesa. Varie volte i Galli tentaron l’assalto, e furon respinti; varie volte ricorsero alle frodi, e furono, ora per prudenza degli uomini, ora per favor degl’iddii, sempre scoperti. Una notte, la nostra sorte era quasi decisa. I Galli giá tenevan le mura. Aveano scoperto un sentiero, il quale, perché riputato inaccessibile, non era difeso. Vi eran de’ cani, ed i cani immersi nel sonno tacquero; ma per buona sorte vi erano anche delle oche, le quali col loro schiamazzare destarono Manlio, che accorse al pericolo, e rovesciò di sua mano il primo Gallo che giá scalava il muro. Tutti in un momento furon desti, tutti sull’armi; il nemico fu respinto. Si resero grandi Iodi a Manlio, e molte piú a Giunone, alla di cui protezione si attribuí il miracolo, poiché le oche erano sacre a lei ed alimentate nel suo tempio.

Ma che potea sperarsi mai da piú lunga e piú ostinata difesa? La cittá tutta non era che un mucchio di sassi e di ceneri; la ròcca potea resistere ancora qualche altro giorno, ma giá mancavano i viveri: quando non ci avesse vinti il nemico, ci avrebbe estinti un giorno inevitabilmente la fame. I piú coraggiosi incominciarono a comprendere che il valore era inutile;

V. Cuoco, Platone in Italia - 11 9