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132 platone in italia

sente nulla; andate pur avanti, e convinceteli che ciascun angolo della terra è patria, purché vi si viva bene; che non si tratta di morir per lei, ma di viver quanto piú si possa... che altro vi rimane ancora?... dimostrate esser falso che la patria nostra sia la prima tra tutte le altre, e che in molte altre cittá sienvi leggi piú giuste, costumi piú dolci, sole piú tepido, numi piú propizi... Insegnatele pur tutte queste funeste veritá. Al momento istesso in cui saran comprese, i savi non avran piú il nome degl’iddii per frenare il popolo; ai coraggiosi mancherá lo sprone delle grandi azioni, l’orgoglio di se stesso e la speranza dell’immortalitá, senza la quale nessun uomo, se non tosse stolto, affronterebbe mai la morte1; i vili non vorran piú morir per la patria e salvarla, ma ameran meglio dominarla e vivere. Il tempo della sapienza diventerá tempo della corruzione e della morte. —

Non ti pare, o saggio Platone, che noi greci e, sopra tutti gli altri, noi ateniesi, giá siam troppo savi? Questi romani, pochi anni sono, hanno avuto un console, il quale si è precipitato in una voragine per salvar l’esercito, ed, al modo onde oggi essi ne parlano, ben mostrano poterne aver ancora mille altri; ed i nostri giovani giá incominciano a rider di Codro! Vi sono i pregiudizi funesti, e son quelli che rendono gli uomini crudeli o vili o indolenti; ve ne son degli altri utili, che li rendono coraggiosi, attivi, generosi: tali son quelli che fomentano l’amor della patria, il rispetto alle leggi, l’orgoglio nazionale. Tutt’i popoli hanno pregiudizi; ma, tra i vari popoli, non quelli che avean conosciute piú veritá, ma bensí quelli che avean piú utili e piú generosi pregiudizi, il primo luogo hanno occupato nella memoria de’ secoli.

  1. Cicerone, Tusculanae