Pagina:Cuoco, Vincenzo – Platone in Italia, Vol. II, 1924 – BEIC 1793959.djvu/266

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Vedi ancora come i secoli passano anche per i popoli, e ridi delle sfacciate millanterie degli oratori della ben ogliata cittá di Minerva, i quali tanto facilmente promettono agli oziosi suoi abitatori un impero eterno come quello di Giove padre della dea loro protettrice. Non so se mai ti prenderá desio di aver parte nel governo dei pubblici affari: i tuoi natali, le ricchezze che gli avi tuoi ti han lasciato, e quelle altre, di diversa ma piu pregevole natura, delle quali tu hai ornata la tua mente ed il tuo cuore, t’impongono il dovere di esser utile alla patria. Non vi è esenzione da questo sacro dovere: chiunque può esser utile alla patria ha obbligo di esserlo. Ma, se mai a ciò ti chiaman gl’ iddii, non seguire, ti prego, la gloria che vien dal giudizio del volgo, sempre facile ad ammirare ed a disprezzare, e sempre ingiusto sia che disprezzi sia che ammiri, perché sempre ignorante de’ veri beni e de’ veri mali. Non vi è nulla tanto comune quanto l’udire detto dal popolo e leggere scolpito nei piedistalli delle statue di marmo e di bronzo, che i nostri arconti, i nostri capitani, gli oratori nostri si fanno innalzare nel Pireo, in Delfo, in Elea: «Egli ha ristabilita la fortuna della sua patria», «Egli ha vinti tutti li suoi nemici», «Egli l’ha resa eterna». Insensati! non dimostra abbastanza la falsitá di queste lodi il vedere ch’esse sopravvivono alla stessa patria; e che spesso noi leggiamo «Ha resa eterna la fortuna della patria», quando questa patria non è piú? Talvolta leggiamo che alcuno colle sue vittorie ha superato Temistocle e Milziade ed Aristide; non mai però ch’egli abbia ristabilite le virtú che il popolo avea in quei tempi. Ora a me piacerebbe di leggere: «N... figlio di N... ha ristabilita la virtú in Atene: gli ateniesi per consiglio ed opra di lui non sono piú ingiusti cogli alleati ; i magistrati ed i capitani non sono piú né rapaci né vili; il popolo non perdona né la rapacitá di quelli né la viltá di questi; nelle assemblee non ode piú se non quegli oratori i quali né cieche passioni rendono incapaci di vedere il vero, né infamia di vita rende indegni di dirlo: per consiglio ed opra di lui gli ateniesi attendono piú all’utile fatica, alla temperanza ed alla giustizia che al teatro; hanno espiata la morte di Socrate; preferiscono la pace alla guerra, e nella guerra fidano