Pagina:Cuoco, Vincenzo – Platone in Italia, Vol. II, 1924 – BEIC 1793959.djvu/320

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aveano apprese dai medesimi. Io avea una volta tentato, dietro le orme di Platone, un saggio sulla storia dell’antichissima civiltá e sapienza de’ greci dedotta dalle etimologie. 2. Quello studio infinito che ha delle parole e quei tanti argomenti che fonda sulle parole medesime. Oggi a noi sembrali puerili, perché non necessari; ci annoiano, perché superflui. Se tali fossero stati ai tempi di Platone, è probabile che avrebbe saputo schivarli. Non era tanto ignorante il figlio di Aristone dell’arte di ragionare e di dilettare ragionando! Quello stesso studio, quegli stessi argomenti si leggono in Senofonte, posti in bocca di Socrate. Se annoiano meno, avvien solo perché Senofonte di Socrate non ha trascritto che i discorsi i quali aveano per soggetto l’istruzione pratica della vita: cosa piú comune e soggetta a minori ricerche, e meno spinose. Ma lo spirito è sempre lo stesso. La filosofia avea fatti pochi progressi, perché non avea ancora lingua; i sofisti, giunti da paesi stranieri, avean portato seco loro l’arte e l’abito di ragionare: ma la lingua, istrumento principale di ogni ragionamento, trovandosi ancora confusa, fantasiosa, equivoca, era piú opportuna ai sofismi che alla ragione. Tutte le quistioni di Socrate, sia che parli in Platone, sia che parli in Senofonte, incominciati sempre dal dimandare: — Che intendi dire con queste parole?— Ed io credo che la filosofia non si possa perfezionar altrimenti. 3. L’uso che egli fa, talvolta stranissimo, delle parole. Quest’uso è stato avvertito da molti. Fin dai tempi piú antichi si è desiderato un dizionario platonico, ed il dotto Meiners lo desidera ancora. Quello di un tal Timeo è da pedante; né poteva avvenir diversamente, perché si è occupato solo della grammatica. Questo dizionario non si può sperare mai perfetto se prima non si sará formato Inalbero» delle idee e della filosofia di Platone. Imperciocché egli non si allontanava dall’uso della lingua volgare senza motivo. Le sue parole aveano una ragione intrinseca: prova ne sia che chi questa ragione conosceva, non trovava i discorsi di Platone oscuri. Non li trovava tali Aristotele, che ben conosceva le opere di Platone, né trascurava veruna occasione di censurarlo. Ne’ secoli posteriori Platone divenne per alcuni oscuro, per altri mistico: ma perché? Perché, obliata la ragione intrinseca delle sue parole colla trascuraggine della filosofia, esse non si paragonarono piú alla filosofia di Platone ma alla lingua del popolo. Si conobbe la differenza, e non se ne seppe piú render ragione. La grammatica, che paragonava le parole ad altre parole, non bastava: la