Pagina:Cuoco, Vincenzo – Platone in Italia, Vol. II, 1924 – BEIC 1793959.djvu/49

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Io non dissi nulla, perché non amo insultare nessuno, neanche quando ho ragione. Era vicina a me la pitagorica Mnesilla, la quale non ardiva aprir bocca; io le diedi coraggio. — Tutte le regole di Pittagora — le dissi — non possono dare una dramma di genio: non convien attribuire a Pittagora gli errori del compositore; e siccome è superbia dire che i precetti di Pittagora sieno infallibili, cosí sarebbe follia condannarli come falsi perché una volta non abbiano ottenuto Peffetto che il maestro prometteva. — Ma a te, a te dirò liberamente quello che penso. Tutta la Grecia è ai tempi nostri in convulsione per la musica; i nostri padri non vi pensavano, lo non so se la loro musica era migliore o peggiore della nostra: so che essi vi si divertivano; e, quando una cosa mi piace, tutti gli argomenti della piú sottile dialettica non possono fare che non mi piaccia. Tu sai di quei di Abdera, sugli animi de’ quali poteron tanto una volta i modi di un compositore, di cui ora non mi ricordo il nome, che, agitati da estro quasi divino, all’uscir dal teatro, scorrevan tutti per le piazze ripetendo, dolcemente forsennati, i versi di Euripide: O Amore, degli uomini signore e degli dèi ! (’) Noi ragioniamo piú sottilmente, ma quei di Abdera piú profondamente sentivano. E solo, per Ercole! uno che non senta può far quel paragone che noi facciamo tra ciò che è oggi e ciò che è stato ieri, tra ciò che è oggi e ciò che potrebbe essere dimani. Quando un’anima fredda va ad ascoltare i modi di Timoteo, egli prova nel suo cuore un vuoto; vola col pensiero in cerca di un altro oggetto e dice sbadigliando: — Oh ! la musica di Orfeo dovea esser pur altra cosa! — Egli ha ragione: quella di Timoteo per lui non vai nulla. — Che dici tu mai? — risponde un altro che la sente vivamente. — Io piango, (i) Luciano.