Pagina:Cuoco, Vincenzo – Platone in Italia, Vol. II, 1924 – BEIC 1793959.djvu/59

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Ma tu forse, dopo aver letti i libri e udite le musiche di tutti costoro, mi tornerai a dimandare: — Qual è dunque la migliore?— La controversia rimarrá ancora indecisa; prova infallibile che tutto ciò, che si è fatto o si è detto finora, non bastava a deciderla; che o non si è ancora scoperto quat sia il male, o non si è ancora conosciuto il rimedio vero. Ed ecco ciò che io ho mille volte detto e ripetuto. Ma coloro, che non mi hanno compreso, mi hanno ascritto ad una setta alla quale non appartengo. Han detto che io amava la musica antica: dunque Platone non consente coi pittagorici. Che ha mai di comune l’uso della musica ed il suo effetto sul costume di un popolo colla teoria matematica de’ toni? Io non mi sono occupato mai a ricercare la natura numerica della quinta, o, se me ne sono occupato, non ho certamente disputato con nessuno. Ma, qualunque sia la natura e la proporzione di questi toni, ho detto io, tosto che piú toni si uniscono tra loro per formare un canto, la parte maggior del diletto non la traggono giá dal rapporto ch’essi hanno tra loro, ma bensí dal rapporto ch’essi hanno colle cose. L’armonia può molcer solo superficialmente l’orecchio: la sola imitazione va al cuore. Or, per imitare, bisogna sentire; per gustar ciò che si è imitato, bisogna sentire ancora. Quando l’animo del compositore sará piú unisono colle cose esterne, l’espressione sará piú vera; quando gli animi degli ascoltanti avran piú simiglianza col compositore, l’espressione sará piú vivamente sentita. Allora si dirá che la musica è piú bella o almeno piú efficace. I primi costumi de’ nostri padri eran semplici, e perciò piú simili tra loro: i sentimenti di chi componeva eran piú simili a’ sentimenti di chi ascoltava. Qual meraviglia che allora la musica produsse il massimo effetto, come anche il massimo effetto produsse l’eloquenza? Pochi sentimenti essi provavano, e semplici ; poche parole avea la loro lingua, e vere. Qual differenza non trovi tu tra i sensi espressi ne’ versi di Simonide per i morti alle Termopile, e quelli che oggi gonfiano i nostri epitafi?