Pagina:Cuoco, Vincenzo – Platone in Italia, Vol. II, 1924 – BEIC 1793959.djvu/69

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Mi parve bello, degno che tu lo leggessi. Ma chi se lo ricorda? Io l’udii come un suono lontano, che bisbiglia, dolcemente confuso, all’orecchio di un uomo fortemente occupato da altri pensieri. Mentre gli altri disputavano, io avrei fulminata cogli occhi la vilissima Timareta. Tutto ciò che mi era avvenuto nei giorni passati mi ritornò, pel suo discorso, in mente; ed io dimandava tremando a me stesso: — Nudrisse forse Mnesilla pensieri simili a quelli della spigolistra sua zia e della sua mocciosa cugina? — Diedi un’occhiata alle mie vesti. Ne volsi un’altra a lei, e mi parve che i suoi occhi dicessero tutt’altro. Mi parve! La furba non li fissava mai verso di me, ma li girava or verso l’uno or verso l’altro, e quasi compiacendosi delle dispute altrui e delle mie perplessitá. Finanche quel matto di Melanione ha ottenute piú compiacenze di me! Quel salentino che tu conosci, il quale si crede esser ricco d’ingegno sol perché non ha cuore, e si crede dotato di cuore sol perché non ha mente (0. Il mio cuore non poteva piú soffrire. Ho lasciati tutti gli altri che ancora disputavano; ho lasciato lei, per trattenermi con te. Toglimi, per Giove! questo peso di cento libbre che mi sta sul petto. Dimmi : questa donna potrebbe non aver altro che l’ipocrisia della virtú? Una veste di tarantinidiasimile a quella della sua cugina, c poi un’anima di creta? (1) Tu hai torto, Cleobolo. Cosí giudicano tutt’i popoli. (2) Vedi l’Appendice IV,