Pagina:Cuoco, Vincenzo – Scritti vari- Periodo napoletano, 1924 – BEIC 1796200.djvu/339

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condizioni, i diritti e le obbligazioni del lavoro medesimo. Ho l’onore di prevenirvi che, ad onta di questa incertezza, la quale non solo ci esenterebbe ma impedirebbe ogni lavoro, tant’ io quanto i miei compagni, acciò il servizio pubblico non rimanga attrassato, abbiamo prestato per oggi tutto il materiale occorrente per la composizione del foglio. Non possiamo credere che sia stata vostra intenzione quella di volerci, dopo due anni di servizio, lasciar di adoperarci senza neanche prevenircene. Molto meno possiamo credere che sia vostra intenzione metterci all’arbitrio di un privato e ridurci alla condizione di mercenari ; mentre il Giornale italiano può dirsi interamente opera nostra, perché da noi incominciata, da noi proseguita, da noi, qualunque essa sia, accreditata. La proprietá è certamente del governo; ma osiamo lusingarci che, in un governo giusto ed umano qual è quello sotto cui viviamo, l’opera nostra merita qualche considerazione; e, anche nel caso che il giornale si voglia dare a cottimo, crediamo potere sperare di essere intesi, e perché abbiamo un diritto di prelazione per l’opera prestata e perché potremo forse offrire condizioni piú vantaggiose. Ma l’ipotesi del cottimo, qualunque essa sia, non porta seco l’arbitrio del cangiamento de’ compilatori. Non lo porta di sua natura, perché sono due cose diverse la parte letteraria e l’economia di un giornale. Non lo porta l’esempio dell’amministrazione passata, la quale era in sostanza anch’essa una specie di cottimo, ed intanto le due parti erano interamente separate. Né può esser diversamente, se il governo esige, com’è giusto, la responsabilitá de’ compilatori. Imperciocché, se si vuole che questi compilatori siano essi responsabili degli articoli, debbono essi esser liberi nella scelta de’ medesimi. Or liberi non possono essere, dipendendo da un altro che dispone degli articoli e degli autori degli articoli; e, non essendo liberi, come si può pretendere che siano responsabili?...— Io ed i miei colleghi speriamo che la giustizia del governo e la vostra non ci vorranno, dopo due anni di servizio, né trascurare interamente né lasciarci in balia d’un privato, del quale, per altro, noi non abbiamo di che dolerci e del quale continuiamo ad esser amici: è la natura della cosa che ci move a parlare. È sempre un peggiorare il passare da una condizione certa ad un’altra precaria, ancorché questa seconda possa essere piú durevole della prima. Offende ragionevolmente il decoro di un uomo onesto quel sentirsi dire, dopo due anni di servizio: — lo non vi conosco; un altro deciderá del vostro merito... —