Pagina:Cuoco, Vincenzo – Scritti vari- Periodo napoletano, 1924 – BEIC 1796200.djvu/393

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contributi pecuniari. Qui si aggiunge che, accoppiando l’esempio al precetto, devolse a beneficio della cassa di ammortizzazione il venticinque per cento del suo stipendio di direttore del Tesoro, ossia mille ducati l’anno (Archi di Stato di Napoli, Tesoreria francese, a. 1815, Pandetta di classificazione segnata col n. 1395, lettera C, ad * Coco barone •). — Fuggito il Murat e tornati nel Regno i Borbonici maggio 1815), il C., al dir dei biografi, avrebbe conservate, in virtú della convenzione di Casalanza, le sue cariche, e anzi ottenuta nel 1817, a intercessione del ministro De Medici, una mediocre pensione. Le moltissime lacune e il gran disordine che regnano negli atti di Archivio dei primi tempi della Restaurazione non hanno consentito a codesto riguardo una ricerca sistematica. Comunque, sta in fatto che con decreto del 17 luglio 1815 il Consiglio di Stato fu soppresso ( Collezione delle leggi e dei decreti del Regno di Napoli, secondo semestre 1815, 2. ediz., Napoli, 1821, p. 56 sgg.). Senza dubbio, nessun danno economico ne ridondò al Nostro, il quale, come si desume da un elenco dei membri del Consiglio al momento della soppressione (Arch. di Stato di Napoli, Consiglio di Stato, voi. 32), perché anche direttore del Tesoro, non percepiva i 3000 ducati annui assegnati ai consiglieri privi di altro impiego. Ma appunto al Tesoro egli restò pochissimo altro tempo. E sebbene il decreto di esonero non sia voluto uscir fuori, è indubbio che esso venne firmato parecchio tempo prima del 27 decembre 1815, giorno in cui, riformata la Tesoreria ( Collezione citata, p. 647 sgg.), fu nominato tesoriere generale, senza che lo si dicesse nemmeno successore del C., Carlo Marsella (Arch. cit., Decreti originali, voi. 100, n. 1538). — Del resto, anche se avesse voluto, re Ferdinando non avrebbe potuto lasciare il C. a quel posto. Dalla lett. XXXIX si desume infatti che fin dal 1784 il Nostro aveva avuto un fiero esaurimento nervoso, ricomparso in forma ancora piú grave nel 1803. E ritorni periodici dell’antico male, sotto forma d’intollerabili emicranie, Io torturaron poi anche a Napoli, specialmente dopo che nel 1812 la sua attivitá, piú che febbrile, divenne vertiginosa. Il terribile colpo che per tutti i liberali napoletani fu la restaurazione borbonica, il timore di un reazionario ritorno al passato, la distruzione infine di quello che per quindici anni cosí intensamente vissuti era stato lo scopo precipuo della sua esistenza, diedero il tracollo a un organismo giá tanto minato; e, circa il settembre 1815, dopo un’alternativa di miglioramenti e peggiorie, il C. perdeva quasi del tutto la ragione. Non che diventasse propriamente matto: che anzi, inoffensivo a sé e agli altri, continuò, come pel passato, a convivere col fratello, ormai magistrato e ammogliato, prima nella casa del marchesi De Attellis alla salita Tarsia, n. 86, poi alla strada Materdei, n. 45. Ma, oltre mille stranezze (montare in furia soltanto a sentir pronunziare il nome Ferdinando, ch’era anche quello d’un suo servitore; sottoporre a periodici roghi i suoi manoscritti, ecc. ecc.), egli era ormai incapace, per quanto talora vi si sforzasse, di congiunger due idee. Documenti pietosi