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XVI

LA NECESSITÀ STORICA DELLE GRANDI CAPITALI

Macchiavelli «annovera tra le cagioni della grandezza de’ romani il costume che aveano di accoglier facilmente e dar facilmente la cittadinanza agli stranieri che andavan tra loro. Merita però osservazione che quegli stessi romani eran nel tempo istesso difficilissimi a divider cogli altri l’impero. Il maggior numero delle guerre che sostennero contro i latini non ebbero altra cagione che questo loro rifiuto. I latini sarebbero facilmente divenuti romani, se si fossero contentati di aver comune l’imperio. Ma essi lo volean dividere, e questo dai romani riputavasi pericoloso e stolto. Difatti Roma, se non avesse comunicati tanto liberalmente i diritti della cittá, forse non si sarebbe mai elevata al disopra della natia sua picciolezza; ma sarebbe irreparabilmente perita, se l’avesse divisi. Una setta di filosofi negli ultimi anni pareva che avesse formata una congiura contro le vaste capitali. — A che servono — dicevan essi — questi immensi ammassi di popolazione, della quale una parte è corrotta dalle ricchezze, un’altra dalla miseria, tutte dall’ozio e dall’amor delle frivolezze? — La risposta era piú facile che non si crede. — Servono a mantener l’ordine in un grande Stato. — Ed a che son buoni questi Stati tanto grandi? — Ad evitare i mali ai quali vanno soggetti i piccioli. — L’esser debole o forte è indifferente quando taluno è solo: il solo è sempre onnipotente. Potrebbe esser indifferente anche quando fosse possibile che tutti gli uomini fossero giusti e vivessero in pace. Ma, poiché Astrea, sebben l’ultima a partire, ha abbandonata anche essa la terra al pari delle altre dèe sue compagne; poiché è inevitabile che gli uomini si faccian la guerra, è prudenza esser il piú forte, onde, essendo il piú debole, non si perisca.