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XVIII

L’ URBANITÀ LETTERARIA

L’imperatore delle Russie, nelle istruzioni date ai magistrati per la censura de’ libri, ha ordinato proibirsi severamente ogni libro che offendesse la persona. E se mai taluno contravvenisse a questa legge, ha proibito di rispondere, dicendo che le ingiurie non offendono se non chi le dice. Questa legge par che metta la condizione dell’offeso al di sotto di quella dell’offensore. E pure non è cosí. Non vi è mezzo piú efficace a far finire le inurbanitá quanto il dar alle medesime il giusto loro valore. Alcuni giovinastri megaresi avean commesse delle villanie contro il senato di Sparta: il senato potea vendicarsi, ma non fece altro che un decreto: «Sia permesso ai megaresi di esser villani». Qual pena piú severa poteva infliggersi al loro delitto?

Gli uomini errano perché talora credon simili le cose che realmente sono diverse, e tal altra reputan diverse quelle che sono simili. Se taluno ha la disgrazia di essere spogliato dai ladri, non perciò si reputa svergognato; molto meno se gli si dice: — Ruba anche tu. — Se un uomo mi dice delle ingiurie, perché dunque si deve credere che nuoca all’onor mio? E perché mi si dá il consiglio di rispondergli con ingiurie eguali e forse anche maggiori ?

La cagion dell’errore è nel credere che vi sia qualche vanto d’ingegno in saper dire delle villanie. Ignoriamo noi quanta demenza, quanta corruzione di cuore, quanta viltá suppone questa miserabile apparenza d’ingegno. In primo luogo allo scrittore che dice villanie si potrebbe domandare: — Ove hai tu imparate queste cose? — Per certo colui il quale non ha frequentato villani dalla sua prima infanzia, colui il quale non è stato villanamente educato, ancorché il