Pagina:Cuoco, Vincenzo – Scritti vari – Periodo milanese, 1924 – BEIC 1795489.djvu/188

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invasione di popolo straniero, sorsero, come nella dissoluzione dell’impero romano, tanti piccioli principati, i quali tutti partecipavan piú o meno della natura feudale, perché le istituzioni feudali sono inseparabili dalla barbarie. Il dominio delle terre, nell’antichissime leggi dei romani, era il dritto dei «forti». Modo solenne di acquistarlo erane l’occupazione, modo della forza e non del patto. Chiamavasi «ottimo dritto dei quiriti», perché «quiriti» chiamavansi i forti ed «ottimo» era sinonimo di «fortissimo». La plebe, cioè i deboli, non vivevano che in clientela, cioè sotto la protezione de’ ricchi, non altrimenti che ne’ secoli della barbarie nostra, ed eran legati ai loro protettori cogli stessi vincoli di fedeltá. A poco a poco questa plebe crebbe di numero, di ricchezza, di potere, ed incominciò a scuotere il giogo. Reclamò la proprietá delle terre, ed incominciò ad averne per gli stessi modi per i quali l’ottenne di nuovo nella seconda barbarie. La coltivazione fu riputata un titolo solenne di dominio. Quindi nella giurisprudenza italiana all’unico antico modo di acquistare, all’occupazione, si aggiunse l’altro dell’usucapione (equivalente o simile alla colonia feudale de’ secoli di mezzo, al ius superficiei della decadenza dell’impero, ecc. ecc.); ma rimase memoria della varia origine di questi due modi nella teoria legale che insegna esser l’occupazione di diritto naturale e l’usucapione di diritto civile, cioè quella nascer dalla forza ed esser piú antica, questa dai patti e perciò esser piú moderna 0). La coltivazione divenne un titolo di dominio sacro, che quasi vinse ogni altro, talché si stabili per legge che non si potesse ritenere quel campo che non si coltivava. Ed a questo proposito ti parlerò di un frammento della legislazione sannitica, che, a creder mio, è stato male interpretato. Varrone ci dice che le terre di vide vansi fra gli abitanti «particulatim, ut coler entur». Questo passo del piú dotto tra i romani è stato interpretato da Grimaldi quasi volesse dire che presso i sanniti tutte le terre fossero degli ottimati e date poscia a coltivare alla plebe. Se (i) Vedi Vico, De uno universi iuris principio et fine uno.