Pagina:Cuoco, Vincenzo – Scritti vari – Periodo milanese, 1924 – BEIC 1795489.djvu/236

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V

Forse un mio pregiudizio m’inganna, ed io realmente ho il pregiudizio di credere che la morale sia piú utile e piú necessaria di quel che comunemente si pensa. Ma io credo, e fermamente credo, non potersi mai pervenire a somma gloria nelle lettere senza cuore retto e ragione nobilmente calcolatrice. Si potrebbe dire su questo quello istesso che Tissot dice della salute de’ letterati. I grandi letterati (dice egli) sono tutti pervenuti a lunga e prosperosa vecchiezza: i grandi sí, ma non i mediocri.

Questo si avvera principalmente ne’ grandi scrittori dell’antichitá. Qualunque soggetto essi imprendano a trattare, si vede che il primo loro scopo è quello di dipinger loro stessi. Tu scopri da’ loro discorsi il loro cuore, la loro mente; ti par di vederne la fisionomia, le stesse loro vicende che han sofferte dalla fortuna.

Condillac ha detto che la lettura di ogni libro deve dare occasione alla soluzione del seguente problema: «Dato un libro, determinare qual numero e qual grado di qualitá di mente e di cuore, sieno naturali, sieno acquisite, debbono esser nel suo autore*. A questo problema parmi, a creder mio, che si restringa ogni utile critica che si possa fare di un’opera. Tutt’ i precetti, che dar si possono ad uno scrittore, si riducono ad un solo: — Fa’ in modo che la soluzione del problema dia un risultato quanto piú si possa favorevole alla tua mente ed al tuo cuore: in tal modo, al tempo istesso, otterrai la massima gloria e produrrai il massimo utile pubblico. Il massimo utile, perché, in veritá, le due cose sempre utili ed universalmente utili sono la ragione e la morale; la massima gloria, perché non vi è né può esser gloria sincera e durevole ove non vi è vera e durevole utilitá. — Non so se gli altri lettori seguono il consiglio di Condillac: io per certo lo seguo. Appena io do fine alla lettura di qualche libro, mi propongo la quistione: — Esaminiamo quale deve esserne