Pagina:Cuoco, Vincenzo – Scritti vari – Periodo milanese, 1924 – BEIC 1795489.djvu/238

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Quindi è che tutt’ i loro precetti per persuadere si riducevano ad un solo, cioè ad ispirar quanto piú si poteva di fede. Or non si ispira fede, ed in conseguenza non si persuade, se non per l’opinione che gli ascoltanti o i lettori concepiscono della mente e del cuore di colui che parla o che scrive. Per far concepire questa opinione, è necessario mostrare un carattere. Chi non mostra un carattere suo proprio o non è avvertito tra l’infinito numero de’ caratteri simili, o è trascurato. Ma, per mostrare un carattere, è necessitá averlo: un carattere preso ad imprestito cade in un momento. Tolta la maschera, riman l’uomo; e, se quest’uomo si ostina a volerla tenere piú lungo tempo, la maschera cadrá ancora, ma invece dell’uomo si scoprirá un pazzo. Or come avere un carattere suo proprio se taluno non se lo ha formato? Il carattere è l’effetto della lunga abitudine: deve tendere costantemente ad oprare sulla nostra mente e sul nostro cuore, e non perdersi dietro l’acquisto di erudizione superflua, dietro imitazioni di parole, di frasi, di periodi, di metodi; cose tutte che Epitteto direbbe esser fuori di noi e non formar parte del nostro carattere. Perfezionar la ragione ed il cuore: ecco a che riducesi tutta l’arte del gusto; ecco l’unica via per arrivare alla gloria. La ragione ed il cuore formano il noi. Allora si scriva, ma si scriva ciò che si sente e come si sente. Siamo insomma noi, e, se non possiamo esser noi, non curiamo di esser altri. Non siamo copie né imitatori. La posteritá è un viaggiatore che va in fretta né può portar molti impicci : porta seco una sola delle migliori edizioni di un libro, e lascia i duplicati e le ristampe. 17-24 aprile 1806.