Pagina:Cuoco, Vincenzo – Scritti vari – Periodo milanese, 1924 – BEIC 1795489.djvu/74

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III

Chiunque applicherá i principi finora esposti al concordato ed al decreto del governo che ne ha comandata l’esecuzione, vedrá che tutto in esso è analogo al vero spirito del cristianesimo. Nuove divisioni politiche imponevano la necessitá di una nuova divisione ecclesiastica. L’unitá degli ordini politici, in un paese ove la religione cristiana è proclamata religion dello Stato, restituisce al vescovo il carattere di magistrato, e, come tale, deve esser eletto dalla sovranitá territoriale. Se ne’ primi secoli della Chiesa i vescovi furono eletti dagli stessi fedeli, ciò avvenne perché il nascente cristianesimo, non ancora approvato, era piuttosto una setta privata che una religione. Gl’imperatori pagani non potevano aver parte in ciò che riprovavano. Appena Costantino lo fece sedere a fianco del suo trono, nacque il diritto degli imperatori di approvare quelle elezioni che il popolo avea fatte; né senza l’approvazione imperiale l’elezione era riputata legittima. Tutte le controversie che dopo l’epoca di Carlo Magno nacquero tra i pontefici e gl’imperatori, quelle controversie che tanto scandalo diedero e di tanto sangue tinsero l’Italia, non sarebbero nate se si fosse distinto ciò che era di Cesare da ciò che era di Dio.

Il vescovo era un magistrato e, come tale, non potea dipender da altri che dal sovrano territoriale; ma questa sua magistratura era tale che non si potea esercitare senza un’istituzione interamente ecclesiastica, e quindi la necessitá che la Chiesa dasse la «missione» a quei che il governo avea nominati. Ma non perciò il vescovo cessava di esser magistrato. Rimaneva sempre suo primo dovere quello di esercitarne le funzioni in modo che producessero il bene dello Stato a cui appartenevano, che vi conservassero l’ordine e la pace. Questo è il fine del giuramento che il nuovo concordato impone ai vescovi di prestare al sovrano territoriale.