Pagina:Cuore.djvu/182

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retti figlio faceva di tutto, strada facendo; sa far di tutto, quell’ometto lì, col suo coltelluccio a cricco, lungo un dito: delle rotine da molino, delle forchette, degli schizzatoi; e voleva portar la roba degli altri, era carico che grondava sudore; ma sempre svelto come un capriolo. Derossi si fermava ogni momento a dirci i nomi delle piante e degli insetti: io non so come faccia a saper tante cose. E Garrone mangiava del pane, in silenzio; ma non ci attacca mica più quei morsi allegri d’una volta, povero Garrone, dopo che ha perduto sua madre. È sempre lui, però, buono come il pane: quando uno di noi pigliava la rincorsa per saltare un fosso, egli correva dall’altra parte a tendergli le mani; e perché Precossi aveva paura delle vacche, chè da piccolo è stato cozzato, ogni volta che ne passava una, Garrone gli si parava davanti. Andammo su fino a Santa Margherita, e poi giù per le chine a salti, a rotoloni. Precossi, inciampando in un cespuglio, si fece uno strappo al camiciotto, e restò lì vergognoso col suo brindello ciondoloni; ma Garoffi, che ha sempre degli spilli nella giacchetta, glielo appuntò che non si vedeva, mentre quegli badava a dirgli: - Scusami, scusami; - e poi ricominciò a correre. Garoffi non perdeva il suo tempo, per via: coglieva delle erbe da insalata, delle lumache, e ogni pietra che luccicasse un po’, se la metteva in tasca, pensando che ci fosse dentro dell’oro o dell’argento. E avanti a correre, a ruzzolare, a rampicarsi, all’ombra e al sole, su e giù per tutti i rialzi e le scorciatoie, fin che arrivammo scalmanati e sfiatati sulla cima d’una collina, dove ci sedemmo a far merenda, sull’erba. Si vedeva una pianura immensa, e tutte le Alpi az-