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Parte terza | 137 |
forza nelle orecchie, nel cervello e vi rimangono. Poi le senti ronzare, susurrare, mormorare, anzitutto mormorare...
— L’aria della calunnia, papà?
— Tal quale. Hai ragione di ridere. Ma il fastidio è tale, che si finisce col volere a forza saperne la verità. Temo una cosa, cara Beatrice; che tu sia troppo sorda a queste voci.
— La mia è saggezza; voi me lo avete insegnato.
— Comprendo. Ma infine... le apparenze...
— Grandi parole; non mi piacquero mai.
— Anche questo te l’ho insegnato io. In fondo hai ragione tu.
— Grazie, papà. Fu lieta la vostra permanenza in Sicilia?
— Oh! sì, molto. Ci siamo divertiti un mondo. Sai che abbiamo tanti parenti a Palermo; avevamo riunito un bel circolo. Ci sono state anche le corse. La primavera è stata ridente. Non mi chiedi notizie della tua matrina?
— ... Volevo farlo. Sta bene la marchesa?
— Benissimo. Qualche attacco nervoso ogni tanto; roba da nulla. Ella ritorna in questa settimana. Anche io sarei tornato prima, se non avessi contato sopra un altro mese della vostra permanenza a Parigi.
— Avevamo visto tutto; siamo tornati.
— Molto improvvisamente. Del resto, gli sposi sono capricciosi; non bisogna chieder loro cose ragionevoli.
Beatrice approvò col capo, svolgendo il gomitolo di filo d’oro con cui ricamava... Mario accese un’altra sigaretta. Era venuto là con la intenzione netta e decisa di dir tutto, ma la sorridente apatia di sua figlia lo disarmava. Al postutto, ci doveva essere della esagerazione in quello che aveva inteso.