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148 Cuore infermo

La villa non ha giardino d’attorno. Dal portone sino al cancello che dà sulla via di Massalubrense, un grande viale separa le aiuole di vainiglia, di viole brune, di geranii fiammeggianti, di margherite simili a stelle, di verbene piccine e multicolori. Il resto è parco: tra i boschetti di cedri, le grandi piante dei limoni, quelle più piccole dei mandarini, tra le larghe espansioni delle magnolie, tra i polverosi, alti e sottili eucalitti, serpeggiano i viali gialli. In qualche crocicchio un tavolino di legno rustico, circondato da sedie. Tra i boschetti qualche casettina microscopica, dove i custodi serbano gli arnesi da lavoro e le piantine delicate che vogliono far riprodurre. Quel parco è grandioso, di un verde bruno, denso, lucido e consistente; dal terrazzo sembra un lago di verdura, lago senza onde, immobile.

La villa non ha nulla del castello o della casa colonica; non è una riproduzione delle fattorie svizzere, delle villette gotiche, rococo o rinascimento. È un edifizio bianco, moderno, svelto, senza uno stile determinato. Larghe le finestre, grige le gelosie. Due ale che si avanzano per le scuderie, le cucine, le camere dei servi. Al pianterreno le anticamere, stanza da bigliardo, stanze da bagno, una piccola serra a cristalli. Due piani per i padroni. Mobilio elegante, campagnuolo; qualche stanza un po’ vuota: un vuoto amabile, che sembra così naturale in villa. Su due balconi riuniti verso l’oriente, una grande voliera, dove saltellano, si beccano, urtano contro il fil di ferro, gorgheggiano i canarini. Si sale al primo terrazzo per una scala a chiocciola, alquanto larga, che ha un finestrino in vetri colorati ed istoriati: il terrazzo è nudo. La torricella è una cameretta rotonda, con due balconi, mobiliata in tela grigia e rossa; dentro, alla rinfusa, sediolini, tavolinetti, sgabelli, mensole,