Pagina:Cuore infermo.djvu/157

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Parte quarta 157

nile. Amalia Cantelmo e Fanny Aldemoresco invasero il salotto. Fu un grande abbracciarsi e baciarsi per un buon minuto. Le due signore venivano nei loro abiti corti di percallo, riparate sotto enormi cappelli di paglia, provvedute di ombrelli larghissimi. Fanny con un ventaglio colossale, una vera vela. Pure erano arrossate dal caldo ed impolverate.

— Ecco qui due vittime dell’amicizia, cara Beatrice — disse la Fanny, facendosi vento rumorosamente: — per amor tuo, abbiamo affrontato il Sahara, a quest’ora, da Castellammare a Sorrento.

— Tanto è caldo, fuori?

— Orribile, orribile, Beatrice — rispose languidamente Amalia.

— Ma qui è fresco, freschissimo; ci si sta bene, duchessa mia. Capisco perchè non ne vieni fuori.

— Infatti — disse Beatrice — non esco che nelle ore senza sole. Voi altre siete coraggiose; e poi così buone di venirmi a trovare.

— Sfido a non essere buone — saltò su la Fanny. — Tu diventi romita, solitaria; a momenti pronunci i voti monacali: noi non possiamo permettere questo.

— Sei diventata invisibile, cara.

— Non tanto, mi sembra. Ma mi sentivo stracca dell’inverno e volli riposarmi. Sento dire che a Castellammare mettete il mondo sossopra.

— Sicuro, sicuro, il mondo a soqquadro. Lavoriamo da mattina a sera per divertirci, come i negri nelle piantagioni. Non riposiamo un minuto solo. Non trovi, Beatrice, che facciamo diventare un’ironia la quiete della campagna? Ma non importa; tutte le cose molto regolari sono regolarmente noiose. Non ti annoi, qui, Beatrice, malgrado il bel fresco che vi regna?

— Qualche volta mi ci annoio; ma per poco.