Pagina:Cuore infermo.djvu/203

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Parte quarta 203

Abbandonò la ringhiera, tornò dentro, discese, chiudendo pianamente le porte dietro sè. In anticamera si fermò un momento solo, scegliendo, all’oscuro, nel mazzo di chiavi. Invece di tornare in camera sua, schiuse la porticina della scaletta interna, per cui i servi scendevano nel parco; a tentoni, appoggiandosi al muro, contando gli scalini, discese. La toppa della porta che dava sul parco strideva; tentò tre volte di aprirla, ma faceva sempre troppo rumore. Gliene vennero le lagrime agli occhi; finalmente riuscì ad aprirla quietamente. Era nel parco. Nulla vedeva davanti a sè, ma era certa di ritrovare la via. Istintivamente tendeva la mano per toccare ed evitare qualche ostacolo, e rasentava con la persona i tronchi degli alberi del viale laterale. Il terreno molliccio, impregnato d’acqua, era divenuto pericoloso. In alcuni punti era sdrucciolevole, in alcuni altri il tacco dello stivalino vi rimaneva preso. Il vento si calmava alquanto, ma la pioggia cadeva dritta, continua, aprendosi un varco fra le foglie. Ma nessuna di queste sensazioni arrivava a Beatrice; ella pensava solo che il viale era molto lungo, troppo lungo e che doveva ad ogni costo sapere con chi era partito Marcello. Ogni tanto, macchinalmente, si riportava lo scialle, già bagnato, sulla fronte.

Infine incontrò un muro. Là si fermò un momento. Doveva seguirlo per ritrovare il punto dove la siepe soltanto divideva i due parchi. Vi si appoggiava, sentendolo sotto la mano umido e vischioso coi rivoletti d’acqua che scorrevano, pel polso, nel braccio. Il muro mancò, quasi precipitasse nel vuoto; cominciava la siepe, imbottita di spine, foderata di mortella; ella passò dall’altra parte, senza ostacolo. Ora non conosceva più la via. Era il parco di villa Torraca quello; gli alberetti bassi lo lasciavano indifeso contro la pioggia. Sembrava