Pagina:Cuore infermo.djvu/283

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Parte sesta 283

erano stati simili a bambini che si sentono crescere ed attendono il momento in cui vivranno completamente. Forse in quel tempo avevano amato, ma difettosamente, incapaci, ancora indegni di amare. Lentamente le ore erano cadute sulle ore, i giorni sui giorni, i mesi sui mesi, con un lavorìo di eliminazione e di assimilazione, togliendo via tutte le cose estranee all’amore, accogliendo tutte quelle che gli erano necessarie. Gli spiriti si erano forbiti, temprati in quell’attesa, in quel lavorìo: avevano accumulato e preparato le loro forze; ogni tanto, in un miraggio rapidissimo, era passata la cara figura ancora velata e dietro di essa i sorrisi biondi, i fiori in pioggia, le risa trillate, la ridda dei colori, gli sbuffi dei profumi, i baci sonanti: una visione che faceva fremere di ansietà quegli spiriti insaziati, che si provavano a rievocarla in sforzi energici ed inutili. Il tempo non era giunto ancora. Di nuovo, ore, giorni e mesi; poi, ad un momento solo, i due amanti si trovavano insieme, vivi, reali, abbracciati. Ebbene, non sapevano dire: come t’ho amato, cuor mio; ma sapevano dire: come ti amo. Il sogno, il desiderio, l’aspirazione, per quanto lunghi, per quanto straordinari, non valevano un sol minuto del fulgido presente; la realtà era mille volte superiore alla loro splendida visione. Ed è per questo che quei ricordi impallidivano, impallidivano sempre più, i contorni diventavano sempre più indefiniti ‒ e da capo pareva ad essi essersi visti una volta in un sogno, in una nuvola, in un velame di nebbia. Mentre viveva molto latente il ricordo in essi, si prendevano come persone nuove, con le mille curiosità ardenti dell’amore, con le scoperte che fanno gittare un piccolo grido di gioia, con le invenzioni delicate, con le deliziose e fresche impressioni di un amore nuovo. Ogni giorno si conoscevano meglio, si apprezzavano di più, si adoravano maggiormente;