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248 notturno

L’ala sua ci parve più grande.
Tinti del nostro sangue salso
vedemmo i suoi piedi contratti.
Guatava in su, ringhiando, la belva.
E tutti i nostri occhi eran pieni di cielo,
resupini su le penne tarpate.
E la stirpe era invitta nel volo.

Poi non dìttamo avemmo al dolore.
Niuno medicò le nostre piaghe,
se non la rugiada silente.
Bevve il pianto delle Sirene,
bevve la melodia delle Pleiadi,
con la silente rugiada,
la nostra angoscia notturna.»