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il commiato. 155


‟E quella sera dei fiori, quando io venni con tanti fiori.... Tu eri sola, a canto alla finestra: leggevi. Ti ricordi?”

‟Sì, sì.”

‟Io entrai. Tu ti volgesti a pena, tu mi accogliesti duramente. Che avevi? Io non so. Posai il mazzo sopra il tavolino e aspettai. Tu incominciasti a parlare di cose inutili, senza volontà e senza piacere. Ma il profumo era grande: tutta la stanza già n’era piena. Io ti veggo ancora, quando afferrasti con le due mani il mazzo e dentro ci affondasti tutta la faccia, aspirando. La faccia risollevata, pareva esangue, e li occhi parevano alterati come da una specie di ebrietà....”

‟Segui, segui!” disse Elena, con la voce fievole, china su ’l parapetto, incantata dal fáscino delle acque correnti.

‟Poi, su ’l divano: ti ricordi? Io ti ricoprivo il petto, le braccia, la faccia, con i fiori, opprimendoti. Tu risorgevi continuamente, porgendo la bocca, la gola, le palpebre socchiuse. Tra la tua pelle e le mie labbra sentivo le foglie fredde e molli. Se io ti baciavo il collo, tu rabbrividivi per tutto il corpo, e tendevi le mani per tenermi lontano. Oh, allora.... Avevi la testa affondata nel gran cuscino del mostro d’oro, il petto nascosto