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210 turlendana ritorna.


Poi discese al margine, dove la ghiaia era polita; e si mise in ginocchio per attingere l’acqua con il concavo delle palme. Il camello curvò il collo, e bevve a sorsi lenti e regolari. L’asina anche bevve. E la scimmia imitò l’attitudine dell’uomo, facendo conca con le esili mani ch’erano violette come i fichi d’India acerbi.

— Hu, Barbarà! —

Il camello udì e cessò di bere. Dalle labbra molli gli gocciolava l’acqua abbondantemente su le callosità del petto, e gli si vedevano le gencive pallidicce e i grossi denti giallognoli.

Per il sentiero, segnato nel bosco dalla gente di mare, la compagnia riprese il viaggio. Cadeva il sole, quando giunse all’Arsenale di Rampigna.

A un marinaio, che camminava lungo il parapetto di mattone, Turlendana domandò:

‟Quella è Pescara?”

Il marinaio, stupefatto alla vista delle bestie, rispose:

‟È quella.”

E tralasciò la sua faccenda per seguire il forestiero.

Altri marinai si unirono al primo. In breve una torma di curiosi si raccolse dietro Turlendana che andava innanzi tranquillamente, non cu-