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la fine di candia. 235

la testa eretta: sorrideva, guardando tutti nelli occhi come per dire:

‟Avete visto? Avete visto?”

La gente su le botteghe, vedendola passare, mormorava qualche parola e poi rompeva in uno sghignazzío significativo. Filippo La Selvi, che stava bevendo un bicchiere d’acquavite fine nel caffè d’Angeladea, chiamò Candia.

‟’Nu bicchiere pe’ Candia, di questo qua!”

La donna, che amava i liquori ardenti, fece con le labbra un atto di cupidigia.

Filippo La Selvi soggiunse:

‟Te lo meriti, non c’è che di’.”

Una torma di oziosi erasi ragunata innanzi al caffè. Tutti avevano su la faccia un’aria burlevole.

Filippo La Selvi, rivoltosi all’uditorio, mentre la donna beveva:

‟L’ha saputa fa’; è vero? Volpe vecchia....”

E battè familiarmente la spalla ossuta della lavandaia.

Tutti risero.

Magnafave, un piccolo gobbo, scemo e bleso, unendo insieme l’indice della mano destra con quello della sinistra, in un’attitudine grottesca, e impuntandosi su le sillabe, disse:

‟Ca... ca... ca... Candia... la... la... Cinigia...”