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strinse più feroce. Sotto il cielo color di ruggine, il terreno si copriva di cadaveri. Stridevano vituperii mozzi tra i denti dei colpiti; e continuo tra i clamori persisteva il grido dei Radusani:

‟Le candele! Le candele!”

Ma la porta della chiesa restava sbarrata, enorme, tutta di quercia, stellante di chiodi. I Mascalicesi la difendevano contro li urti e contro le scuri. Il santo d’argento, impassibile e bianco, oscillava nel folto della mischia, ancora sostenuto su le spalle dei quattro ercoli che sanguinavano tutti dalla testa ai piedi, non volendo cadere. Ed era nel supremo voto delli assalitori mettere l’idolo su l’altare del nemico.

Ora mentre i Mascalicesi si battevano da leoni, prodigiosamente, su ’l gradino di pietra, Giacobbe disparve all’improvviso, girò il fianco dell’edifizio, cercando un varco non difeso per penetrare nel sacrario. E come vide un’apertura a poca altezza da terra, vi si arrampicò, vi rimase tenuto ai fianchi dall’angustia, vi si contorse, fin che non giunse a far passare il suo lungo corpo giù per lo spiraglio. Il cordiale aroma dell’incenso vaniva nella solitudine della casa di Dio. A tentoni nel buio, guidato dal fragore della pugna esterna, quell’uomo camminò verso la porta,