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250 | i marenghi. |
dace; spinse la mano d’un tratto, afferrò la tabacchiera; e, con un moto di fuga, si rivolse verso le scale; discese seguita da Passacantando.
‟O Die! O Die! Vide che so fatte pe’ te!...” balbettava, abbandonandosi addosso all’uomo.
Ed ambedue si misero insieme, con le mani malferme, ad aprire la tabacchiera, a cercare fra il tabacco, le monete d’oro. L’acuto aroma saliva loro per le narici; ed ambedue, come sentivano l’eccitazione a starnutire, furono invasi d’improvviso da un impeto d’ilarità. E, soffocando il rumore delli sternuti barcollavano e si sospingevano. Al gioco, la lussuria nella pinguedine dell’Africana insorgeva. Ella amava d’essere amorosamente morsicata e bezzicata e sballottata e qua e là percossa da Passacantando; fremeva tutta e tutta si ribrezzava nella sua bestiale orridezza. Ma, a un punto, prima si udì un brontolio indistinto e poi gridi rauchi proruppero su nella stanza. E il vecchio comparve in cima alla scala, livido alla luce rossastra della lanterna, magro scheletrito, con le gambe nude, con una camicia a brandelli. Guardava in giù la coppia ladra; ed agitando le braccia gridava come un’anima dannata:
‟Li marenghe! Li marenghe! Li marenghe!”