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262 Mungià.


alle canèfore dei bassorilievi ateniesi, cantando. Come giungevano alla casa, presso il talamo, si toglievano il canestro da ’l capo, prendevano un pugno di grano e, a una a una, lo spargevano su la sposa, pronunziando una formola d’augurio rituale in cui la fecondità e l’abbondanza erano invocate. Anche la madre compiva la cerimonia frumentaria, fra molte lacrime; e con un panello toccava alla figlia il petto, la fronte, le spalle, dicendole parole di dolente amore.

Poi, nella corte, sotto un’ampia stuoia di canne o sotto un tetto di rami, incominciava il convito. Mungià, a cui non anche la virtù visiva era venuta meno nè eran sopraggiunti i mali della vecchiezza, diritto nella magnificenza di una sua zimarra verde, e tutto sudante e fiammante e soffiante entro il clarinetto la maggior forza dei pulmoni, incitava i compagni con battere di piedi su ’l terreno. Il Golpo di Cásoli fustigava la viola irosamente; Quattòrece con fatica teneva dietro alla crescente furia della moresca, sentendosi aspri traverso il ventre passar li stridori dell’arco e delle corde. Lucicappelle, erto la testa in aria, stringendo con la sinistra in alto le chiavi della chitarra e con la destra pizzicando le due forti corde metalliche, sogguardava le femmine che ri-