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l’eroe. | 335 |
‟Va a la casa, mo! Va a la casa!” gli gridava la gente, sospingendolo verso la porta della chiesa.
Una femmina si tolse il grembiule e gliel’offerse per fasciatura. L’Ummálido rifiutò. Egli non parlava; guardava un gruppo d’uomini che gesticolavano in torno alla statua e contendevano.
‟Tocca a me!”
‟No, no! Tocca a me!”
‟No! A me!”
Cicco Ponno, Mattia Scafarola e Tommaso di Clisci gareggiavano per sostituire nell’ottavo posto di portatore l’Ummálido.
Costui si avvicinò ai contendenti. Teneva la mano rotta lungo il fianco, e con l’altra mano si apriva il passo.
Disse semplicemente:
‟Lu poste è lu mi’.”
E porse la spalla sinistra a sorreggere il patrono. Egli soffocava il dolore stringendo i denti, con una volontà feroce.
Mattalà gli chiese:
‟Tu che vuo’ fa’?”
Egli rispose:
‟Quelle che vo’ sante Gunzelve.”
E, insieme con li altri, si mise a camminare.