Pagina:D'Annunzio - Laudi, I.djvu/206

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LAUDI DEL CIELO E DEL MARE

fingea con ambagi infinite
il Laberinto cretese.
L’efebo e la vergine i ricci
recisi avvolgeano ai virgulti
e ai fusi per quelli deporre
sopra le tombe nel tempio
4977d’Artèmide nata gemella.

“Delo„ io pregai nel mio cuore
“sterilità più bella
che tutta la fronda di Tempe,
la forza dell’anima ellèna
in ogni tua pietra m’appare
chiusa qual seme in gleba,
4984sì che alcuna delle perfette
forme contemplate con gioia
ne’ luoghi famosi, o febèa,
non mi ammaestra come
la tua solitudine inulta.
Deh fa che sempre io ti veda,
con gli occhi dell’anima invitta,
4991fa che io ti veda qual sei,
immobile ignuda e fatale
su le quattro ardue colonne
sorte dagli abissi del ponto
per sostenerti, e ch’io veda
Leto abbracciare la palma
pontare i ginocchi sul prato
4998per partorirti il bel dio!


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