Pagina:Da Ponte, Lorenzo – Memorie, Vol. I, 1918 – BEIC 1797111.djvu/15

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11 solo Colombo mostrò di crederlo, e lece giuramento solenne di non iscrivere piú in italiano; giuramento che poi gli fé’ rompere una leggiadra e bellissima giovanetta, di cui eravamo arabidue innamorati e per cui verseggiammo a vicenda. Questo non voler credersi generalmente che quel primo sonetto fosse composto da me, fu un nuovo genere di lode, che, senza solleticare soverchiamente il mio amor proprio, m’incoraggi a sforzi maggiori e mi fece risolvere fin d’allora a darmi interamente all’italiana poesia. In men di due anni ho letto piú d una volta e versato, diurna et noe turno, marni, tutti non solo i poeti classici, ma tutti quelli eziandio che vanno per le mani de’ piú come scrittori di un vero merito, eccettuando i soli secentisti, che non ho osato leggere prima di creder me stesso capace de’ lumi necessari per distinguere il buono dal cattivo ed il bello apparente dal vero bello. E non era giá contento di leggere, ma trasportava in latino i piú nobili tratti de’ nostri, li copiava piú volte, li criticava, li commentava, gli imparava a mente, esercitandomi spesso in ogni maniera di composizione e di metro, e procurando imitare i piú vaghi pensieri, adoperar le piú leggiadre frasi, scegliere i piú bei modi da’ miei antesignani usitati, preferendo sempre e sopra tutti gli altri quelli del mio idolatrato Petrarca, in ogni verso del quale mi pareva ad ogni lettura di ritrovar qualche nuova gemma.

In questa maniera, e con questo continuo ed infaticabile studio, arrivai verso il cominciamento del terzo anno a gareggiare co’ primi, e non raramente riportarono i versi miei l’onor del trionfo. Ottenni molte lodi per una canzone, da me a pruova composta co’ piú colti giovani di Ceneda. Ma non servirono queste a farmi inorgoglire od a farmi credere veramente che la can zone mia fosse bella. Ebbi, fin da’ prim’anni della mia studiosa carriera, la buona sorte di credere che da altro non nascessero le lodi, ch’io riportavo, che da una cortese intenzione di avvalorare i miei, giovanili sforzi e di condurmi col tempo a meritarle veracemente. Questo mi tenne lontano dall’oziosa superbia e da una vana opinione di me medesimo; scogli in cui spesso urtano gli studiosi, che, credendo di saper