Pagina:Da Ponte, Lorenzo – Memorie, Vol. I, 1918 – BEIC 1797111.djvu/25

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avessi riflettuto che ogni sventura era preferibile a quella di maritare un fetente cadavere, elié tale era infatti lo sposo offertomi. Cominciava giá a sospettare che quella carcere dovesse essere la mia tomba, quando la notte del decimoquimo giorno, ad ora alquanto avanzata, dopo essermi messa a giacere, udii aprire pian piano la porta e vidi entrare una donna con una lanterna accesa, la quale a mezza voce mi disse subito: — Non temete, figliuola mia, io sono la vostra nutrice. — Mi gettò quindi le braccia al collo, e, dopo avermi bagnata di lagrime, mi esortò a vestirmi immediatamente e seguirla. Sapeva che quella donna m’amava quanto la propria vita: non esitai però un momento a ubbidire. M’aiutò con sollecitudine a vestirmi, e mi fece discendere dalle scale con lei. Alle porte della casa v’era un calesse da posta a quattro cavalli, un cocchiere ed un giovine vestito da viaggio, con un mantello e cappello da uomo nelle mani. M’abbracciò di nuovo la mia nutrice, e con parole interrotte da’ singulti: — Ecco — mi disse, — o figliuola e signora mia, l’unica strada che rimane allo scampo e libertá vostra.

Questi è mio figlio, che vi accompagnerá in loco di sicurezza e vi sará fedelissimo servidore, come lo sarei io medesima. Non posso or dirvi di piú: il tempo è prezioso. Saprete il rimanente da lui. — Mi mise allora il mantello addosso c il cappello in testa, e mi fece entrar nel calesse.

Andammo si rapidamente, clic giungemmo in poche ore a Garigliano. Arrivammo il di dopo a Roma, e il terzo a Fiorenza. Non ci fermammo né notte né giorno, se non a Padova, dove chiesi di riposare. Non volle però il mio compagno fermarsi piú di una notte. Aveva saputo da lui come riuscito era alla mia nutrice di deludere la vigilanza de’ custodi, che quella iniqua m’avea posti; come aveva stabilito di farmi perire in quella prigione, che in un antico castello della famiglia, tre miglia lontano da Napoli, era situata, se non condiscendeva a sposare quel mostro; e come a ciò era stata sedotta dalla promessa, ch’ei fecele, di pagarle una somma esorbitante in compenso d’un feudo, che a me appartenea di ragion materna Aveva udito inoltre la storia di quel disgustoso epulone, che, ad onta