Pagina:Da Ponte, Lorenzo – Memorie, Vol. I, 1918 – BEIC 1797111.djvu/51

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miro i regi sul trono, e per le strade il cencioso mendico, a cui talvolta porgo vile moneta, onde l’imbarco paghi al nocchier della letea palude. 11 garrir de’ signor, che pien d’orgoglio ergon le corna aurate, un lieve fischio panni d’aura nascente; e, mentre loro prestano omaggio le divote torme, io con equabil ciglio, in me raccolto, or la gru passeggierá, or per le nubi qualche mostro volante, ed ora i marmi di Pasquin, di Martorio intento miro.

Credette la piú gran parte di que’ poveri togati di veder nelle corna aurate da me derise il picciol corno del doge, e, non potendo soffrir l’orribile profanazione, con un grido generale disapprovommi. Si proferí allora la gran sentenza; si dichiararono uno ore i due revisori innocenti, ed io solo fui proclamato colpevole e degno di punizione. Corse sul fatto il Memmo a darmi novella di tutto. Non s’era ancora però proposta la pena convenevole al mio delitto. Se ne lasciò il carico a’ medesimi riformatori. Il peso dato alla cosa da’ miei avversari e gli abbaglianti apparati di pubblico senatorio giudizio, che accompagnavan l’accusa, misero in capo a molti che appagare non si potesse la maestá aristocratica da me offesa, se non col sacrifizio totale della mia libertá o della mia vita. Volevano 1 fratelli e gli amici miei ch’io evitassi il fulmine colla fuga. Ma io rideva di essi e de’ lor timori. Non poteva credere che si dovesse operare con severitá di pene, dopo aver cercata con tanto studio la pompa dell’apparenze. La politica veneta non latrava mai, quando aveva intenzione di mordere.

Non mi sono ingannato. Il mio gastigo, se pur tale si può chiamare, fu tanto leggiero che ridicolo. Citato a comparire, dopo alquanti giorni, davanti al tribunale dei riformatori, letta mi fu dal segretario la mia sentenza. Era concepita questa ne’ seguenti termini :

— Il tuo nome?