Pagina:Da Ponte, Lorenzo – Memorie, Vol. I, 1918 – BEIC 1797111.djvu/60

Da Wikisource.

improvvisamente de’ versi bellissimi, molto pochi sieno quelli che non diventino mediocrissimi, quando scrivono.

Mi si presentò frattanto occasione di trarre il Memmo d’inganno, relativamente a ciò che la ingiusta giovine avevagli di me fatto credere. Gli aveva io qualche volta di ciò parlato con molta franchezza; ma, ostinato nella sua credulitá, poco alfine mancò che non venissimo a una nuova rottura. Mi domandò un giorno, e fu per la prima ed ultima volta in sua vita, «se sapeva con chi parlassi». Quest’era la frase che aveano in bocca comunemente i gentiluomini veneziani. Gli risposi che si, ed aggiunsi che non sarei né si libero né si franco, se noi sapessi. M’intese, m’abbracciò e ringraziommi. — Bisogna dunque — ripigliai allora — che mi permettiate convincervi; e questo farò, dove mi promettiate di non farne motto alla vostra Teresa. — Ebbene — replicò egli, — convincetemi, se potete, ché io vi prometto di tacere. — Mi misi dunque all’impresa. Era quella fanciulla ferventissima nelle passioni, ma, al solito delle sue simili, cangiava di amore colla maggior facilitá del mondo. Si consolò dunque prestissimo dell’amante perduto, e gettò gli occhi su certo giovine, che frequentava la sua casa famigliarmente e che, privo essendo de’ doni della fortuna, pareva disposto a corregger quel fallo, sposando una donna ricca, senza curarsi gran fatto del resto. Accortomi della cosa, procurai farmelo amico. Vedendo egli la mia intrinsichezza col Memmo, ne parve lietissimo. Mi scoperse in breve il suo animo e mi pregò secondarlo. Io gli promisi tutto, con patto ch’egli ottenesse dalla Teresa una sincera confessione della calunnia appostami, e adoperasse in tal modo, che ella medesima la veritá palesasse a quell’ingannato cavaliere. Ottenne egli ciò molto facilmente da lei, come quella che sapeva di poter tutto fare impunemente con un uomo giá cieco.

Entrai un di a caso nelle stanze di quel signore, mentre la ragazza di ciò parlavagii. — Venite — mi diss’egli ridendo: — scopersi la veritá, e ne sono lieto e per me e per voi. Per voi, perché siete ora negli occhi miei piú degno che mai d’amicizia e di stima; per me, perché sento d’esser si amato dalla