Pagina:Da Ponte, Lorenzo – Memorie, Vol. II, 1918 – BEIC 1797684.djvu/108

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strade e la stessa gradinata che conduceva al cortile; al quale volendo io discendere, appena posi i piedi sul ghiaccio del primo scaglione, il quale un pòco a caso pendeva, che, sdrucciolando, cascai supino, battendo sugli altri tre talmente a salti a salti col dorso, che dall’osso sacro fino alla metá del mio corpo io era divenuto una piaga. Rimasi piú di un mese nelle mani de’ medici, e, sebben tormentato da caldi emollienti, da scarnificazioni, da punture e da tagli, a dispetto di mille profezie sinistre, ebbi la consolazione il giorno di Natale di poter ricever da me le mie angeliche allieve e di render grazie all’Altissimo della mia ricuperata salute e della occasione che mi offerse su quel letto, che si credeva (e sperava forse) che fosse letto di morte, di veder in modo assai chiaro a quanto può giungere la doppiezza umana e la viltá* degli adulatori. Tornato dunque al mio solito e dolce esercizio d’instruttore, non tardai a ricordarmi del disegno ch’io fatto aveva prima di quella caduta, e, leggendo e meditando novellamente quella prefazione, scrissi un discorso, ch’ora presento al mio lettore in quest’ultima parte, e che recitai il mio di natalizio a una bella corona de’ míei allievi ed amici. Quelli, che non vogliono interromper il filo delle mie Memorie , possono lasciar di leggere questa orazione. Io però ho delle forti ragioni per pubblicarla. Orazione di Lorenzo Da Ponte recitata a’ suoi allievi ED AMICI LA SERA DEL IO DI MARZO DELL’ANNO 1828, SETTANTANOVESIMO ANNIVERSARIO DELLA SUA VITA. Desideroso di darvi una pubblica testimonianza di rispettosa gratitudine, pel favore distinto che fate a me questa sera, onorando della vostra cara presenza l’anniversario del settantanovesimo di natalizio d’una vita, che pel corso di quattro e piú lustri vi consacrai e tuttavia vi consacro; e voglioso ad un tempo stesso d’intrattenervi utilmente e piacevolmente parte del tempo che vi degnate accordarmi, ho determinato parlarvi della letteratura italiana: «felice, fausto e fortunato» soggetto, che meritò