Pagina:Da Ponte, Lorenzo – Memorie, Vol. II, 1918 – BEIC 1797684.djvu/153

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la manifattura di tali lettere era giá preparata in ottobre, cioè nella precisa epoca, in cui con piú calore che mai mi si facevano quegli inviti e in cui dovea recar un gran «bene» al novello Gano una notturna mia visita nella campagna del signor suocero! Mi si permetta fare una digressioncella, in forma di nota fuggitiva. Giovanni Gallerini invitò a cena un ribaldo, che assistito l’aveva per poche lire a incendiare il teatro dell’opera a Londra. Quello sciaurato v’andò, ebbe una cena squisita e un’ottima bottiglia di vino... tosco! Andò a casa, si mise a letto, s’addormentò e assai piú lungo del solito fu il di lui sonno ! V’han molti Gallerini nel mondo!

Torniamo alla storia mia. Questi maneggi, però, questi artifiziosissimi intrighi da traditore erano tenuti con cautela somma coperti cinere doloso. Non fu che verso gennaio, quando la damigella C. F., che aveva preso un trimestre di lezioni da lui e che, infastidita della sua stridula voce, della sua inintelligibil pronunzia, delle sue maniere da macellaio e sopra tutto de’ suoi petulantissimi occhiali, congedò lui per prendere me (ad onta ch’io rifiutassi ostinatamente d’andar da lei; ad onta ch’io gli dessi in quella stessa occasione delle prove novelle della mia bontá, della mia disinteressatezza, della mia premura de’ suoi vantaggi); che levossi a dirittura la maschera : disse roba da chiodi della madre, della figlia, del defunto padre, di me; mandò una lettera di foco a quella signora, chiese conto del suo procedere, pretese ch’ella non dovesse o potesse prendere altro maestro che lui, e, vedendo che nulla gli riusciva, allor mise in moto la infernale sua macchina, ch’era giá fabbricata per la mia perdita, e senza ritegno alcuno inondò la cittá cogli aliti puzzolenti della sua fratesca cinoglossa. Non è giá ch’ei credesse d’aver la minima ragion di ciò fare; e i suoi piú intrinseci amici cercarono di provargli ch’aveva torto (tra questi il signor Fellow) ; ma l’apparenza era plausibile, un pretesto era necessario, e fra Ganellone, temendo di non poter trovarne un migliore, avidissimamente lo colse. Invitò allora a pranzo due italiani, ch’eran de’ pochi che frequentavano la mia casa, e, istruttissimo nel mestiere onorato d’Argo di polizia, trovò facile impresa