Pagina:Da Ponte, Lorenzo – Memorie, Vol. II, 1918 – BEIC 1797684.djvu/309

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decimo di marzo», che dovrebbe essere, naturalmente, il io marzo 1799. In tal caso, il io marzo 1799, il D. P. avrebbe dovuto: 1) essere ritornato a Londra da almeno quattro o cinque giorni ; 2) possedere giá la qualitá di commerciante, altrimente non si spiegherebbe la dichiarazione di fallimento, che fu costretto a fare; 3) essere giá proprietario di una tipografia, che sorge di punto in bianco nella narrazione (I, 244), come cosa giá nota ai lettori, ai quali pertanto non ne era stato detto ancora nulla. Ora come conciliare tutto ciò con l’esplicita affermazione del D. P. (I, 241) che il i» marzo 1799 egli si trovasse, né commerciante né tipografo, ancora ad Amburgo? Non si tratta, dunque, del io marzo 1799, si bene di quello di qualche anno successivo. E quale questo sia, viene a dirci il D. P. medesimo, quando aggiunge (I, 243) che per la prima volta «in cinquantadue anni di vita» gli toccò di trovarsi rinchiuso tra le mura di una prigione ; con che si giunge nè piú nè meno che al io marzo 1801. Posto ciò, quale è il filo cronologico delle tante sciocchezze commesse dal D. P. dal 1799 al 1805? Verisimilmente, questo. — Tornato a Londra, come si è detto, verso la metá del marzo 1799, il D. P., trovandosi qualche soldo, acquistò una piccola tipografia, contenuta tutta in una camera (I, 247), nella quale stampava, tra l’altro, in quell’anno o poco appresso, per conto di Leonardo Nardini, un’edizione espurgata de;VOrlando furioso (I, 265). Ciò non poteva non far sorgere qualche sospetto nel Taylor, il quale, irritato sopra tutto di non aver potuto vedere coi propri occhi quella stamperia, di cui gli si contavano mirabilia (I, 247), si risolse a domandare ex abrupto al suo poeta quella resa di conti di cui si è discorso di sopra, e che, posticipata di qualche mese, diventa perfettamente logica e plausibile. Le cose andaron veramente cosí lisce come narra il D. P.? (I, 242). Dall’intervento in quell’intricato conteggio di un avvocato (I, 242), che non potè essere se non il Comrie (I, 273), e specialmente da quel che avvenne poi, non parrebbe. Parrebbe invece che le pretensioni, giuste o ingiuste, del D. P. superassero di parecchio quelle dugentocinquanta ghinee, con le quali il Taylor, a diritto o a torto, aveva creduto di saldare il suo debito (I, 242); donde grandissima irritazione del nostro autore, il quale, dopo aver inviate al suo principale alcune lettere agrodolci, ricorse al suo consueto ripiego di stampare e di inviargli un opuscolo diffamatorio e ricattatorio (I, 245). E nessuno vorrá dare torto al Taylor, onest’ uomo o briccone che fosse, se, dopo aver cavato dalle mani del D. P., mercé cinquanta ghinee, tutte le copie di quel libello (e fors’anche una dichiarazione che togliesse all’autore la possibilitá di ricominciare), cogliesse il primo pretesto per disfarsi definitivamente di un cosí insidioso subalterno (I, 245-7). Alla fine del 1799 o ai principi del 1800 è da collocare, dunque, il congedo del D. P. dal Drury-Lane di Londra. Che egli restasse sul lastrico (I, 244), non seinbrerebbbe; giacché dalla ricordata lettera al fratello Paolo del 18 febbraio 1800 si desume che, se il D. P. in quel tempo aveva avuto giá a soffrire dalla «ingratitudine» del Federici e del Gallerini (I, 244),